Lontano dall'essere estinti, i dinosauri made in Spielberg - qui solo produttore esecutivo – tornano a fare sfaceli al botteghino. Ma gli incassi sono inversamente proporzionali al valore della pellicola.
Li avevamo lasciati solo tre anni fa padroni completi di Isla Nublar. Ora, in Jurassic World: Il regno distrutto, i dinosauri dopo aver devastato per l'ennesima volta il parco a tema, sono in pericolo: l'isola dove sorge(va) il Jurassic Park originale, completamente “bonificata” dalla presenza umana e tornata allo stato selvaggio, sta per essere distrutta da un'eruzione vulcanica. Così, mentre la solita lenta burocrazia è indecisa fra salvare i sauri o lasciarli al proprio destino, un investitore privato contatta Chris Pratt e Bryce Dallas Howard, eroi del precedente Jurassic World, affinchè assistano il gruppo scelto costituitosi allo scopo di evacuare i dinosauri. Ma, ovviamente, gatta ci cova...
Il parco è aperto!
Questo nuovo capitolo del franchise giurassico ricicla, con poca convinzione e ancor meno ritmo, situazioni già viste - e meglio - nelle precedenti pellicole. Per questo spiace vedere il regista Juan Antonio Bayona, molto più bravo altrove (The Orphanage), mettersi al servizio di una sceneggiatura che procede a scatti e siparietti, arrivando a limitare la propria personale visione per poter consegnare al botteghino una pellicola edulcorata e vacua sotto molti aspetti.
Di fatto, Jurassic World tiene il piede in due scarpe: da una parte tenta di darsi un tono serio e “responsabile” mettendo sul piatto un iniziale menù a base di dubbi etico-morali sulla clonazione e di legittimità dell'intervento umano in natura. Dall'altra parte, la ovvia necessità di spettacolarizzazione “spinta” che, in quanto tale, sacrifica ogni tipo di ragionamento (soprattutto cinematografico) coerente per gettare lo spettatore su un ottovolante il cui fine ultimo dovrebbe essere quello di mozzare il fiato.
Jurassic World Vs Il Regno Distrutto
Così, alla fine, sull'altare del “gradimento totale” a cui punta questo tipo di operazione, si è deciso di sacrificare proprio quegli spunti che, in altra chiave, avrebbero potuto dare a Il Regno Distrutto pari dignità del precedente Jurassic World. Nel 2015 il reboot, fra pregi e difetti comunque presenti, era stato in grado – anche attraverso sequenze originali e riuscite, una su tutte la corsa moto-velociraptor – di rinnovare un canovaccio destinato comunque alla ripetizione di sè stesso.
Qui, invece, ci troviamo di fronte a un sequel basato su idee potenzialmente stimolanti ma gestite con poca inventiva (i mostri inseriti nel contesto della villa vittoriana, l'ennesimo “Uber-Sauro” figlio di mille incroci genetici), personaggi (insopportabili) inseriti quasi a forza, e villain dal comportamento e dalle motivazioni ai limiti della credibilità, con tutto che stiamo assistendo a una pellicola che parla di dinosauri clonati.
Perchè vederlo
Il franchise Jurassic Park è ancora forte nella memoria collettiva e, seppur passati 25 anni dal capostipite, i dinosauri fanno ancora il loro bell'effetto sul grande schermo. Ma tutto qui.
Perchè non vederlo
Arrivato al quinto capitolo - il secondo del “nuovo corso” - le sorprese e le variazioni sul tema sono veramente minime. Non aiuta poi una sceneggiatura di livello medio-basso. Anche lo Spielberg peggiore è lontano mille miglia da tutto questo.